Sono vegana senza ricette

veganismo

Con questo articolo desidero intervenire nel dibattito attualmente in corso sul significato originario e sulle interpretazioni del termine veganismo.

Tutto inizia osservando il fenomeno per cui il sistema economico che fa nascere, sfrutta e uccide gli individui delle altre specie animali, è lo stesso che ha costruito nel tempo una nicchia di mercato per il mondo vegano, obbligandolo a entrare nell’ambito del consumo di massa. Così facendo ha di fatto svuotato il veganismo dei suoi intenti più profondi ed etici, consentendo al mercato di sfruttarne la presenza.

Mi trovo d’accordo con questa lettura e con quanto afferma a tal proposito Rasmus Rahbek Simonsen, autore del Manifesto queer vegan: “Come tutto ciò che viene inglobato nel sistema, anche il veganismo ha perso la sua radicalità (…) non mette in discussione le strutture oppressive installate nel cuore stesso del sistema alimentare dell’Occidente industrializzato (…) Esso può affermarsi solo se è in grado di disturbare profondamente il piacere di cibarsi di animali”.

E’ a questa affermazione del veganismo che io aspiro, con la quale mi trovo d’accordo. Viceversa, non credo giusto né strategico iniziare a distinguere l’essere vegano dal mangiare vegano o dal vestire vegano. Perché evidenziare fortemente invece la distinzione tra un veganismo egoistico e funzionale al sistema e un veganismo empatico e sovversivo, è riappropriarsi del significato etico originario di una forza trasformativa in movimento.

Mi spiego. Non serve e non è giusto contribuire allo svuotamento della connotazione politica del veganismo, sostenendo che così come è diventato non ha poi quelle potenzialità di cambiamento che crediamo. Nonostante il mercato abbia fatto in modo che gli altri animali e le loro gabbie, la tortura e la mattanza, sparissero per lasciare posto a carrellate di piatti prelibati e alle loro ricette, ciò non è veramente accaduto. Le aberrazioni continuano a esistere e compito del veganismo etico è quello di denunciarle più fortemente di prima, indipendentemente dall’impatto reale che questa scelta può avere rispetto al numero di creature che continuano a essere uccise.

Aderisco quindi all’opinione di Simonsen, quando afferma che “il veganismo è intrinsecamente politico; il rifiuto di consumare prodotti di derivazione animale è infatti indirizzato alla polis: scopo del veganismo è quello di demolire, di far crollare, le strutture ideologiche e materiali che, nella società attuale, legittimano il consumo di carne (dallo spazio fisico del mattatoio alla mentalità che sostiene l’uccisione e lo sfruttamento delle altre specie)”.

Sostenere che il veganismo sia solo uno degli strumenti per la liberazione animale è a mio parere un errore. Lo stesso Simonsen prosegue dicendo: ” Che il veganismo sia una conseguenza necessaria del pensiero e della prassi che sostengono la liberazione animale è qualcosa di scontato”. Una conseguenza necessaria quindi, parte intrinseca del movimento di liberazione.

L’antispecismo è spesso affiancato all’antirazzismo e all’antisessismo. Oltre a essere discriminato, un grandissimo numero di diverse specie animali viene allevato, imprigionato, ucciso, tagliato a pezzi e divorato. L’umanità divora i loro corpi e ciò che i loro corpi producono. E’ chiaro per me e per chi fa attivismo, come il veganismo sia indispensabile al superamento delle discriminazioni di specie, poiché porre fine al rapporto divorante con quelle creature che siamo culturalmente abituati a considerare cibo, quindi cose, è per l’animale umano l’inizio della fine della supremazia specista.

Il veganismo responsabilizza il singolo e gli permette di apportare nella propria vita cambiamenti importanti non solo alimentari, capaci di materializzare il pensiero che sostiene la liberazione animale. Perché prima di tutto e di tutti è necessario cambiare noi stessi.

 

(Giusi Ferrari)

Una risposta a “Sono vegana senza ricette”

  1. Mi pare l’accezione più interessante. Altrimenti diventa una dieta come un’altra.

I commenti sono chiusi.